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La donna della settimana stavolta… è una bambina! Una piccola bolognese, di nome Imelda Lambertini, vissuta nel XIV secolo e che la Chiesa ha proclamato beata solo nel 1826.
La storia di Imelda, morta a soli 13 anni dopo aver ricevuto per la prima volta la S. Eucaristia, ha dell’incredibile, tanto che si potrebbe scambiarla per una favola, facendola iniziare con un “c’era una volta”...
C’era una volta una bambina di nome Maria Maddalena, che i suoi genitori avevano affidato alle Suore Domenicane di S. Maria Maddalena. Nel monastero, la piccola aveva ricevuto un nuovo nome: Imelda.
Imelda, che partecipava insieme alle suore a tutte le funzioni liturgiche, aveva un unico grande desiderio: poter ricevere Gesù nel Sacramento dell’Eucaristia. Poiché a quel tempo non era consentito ai bambini di partecipare al banchetto eucaristico, Imelda doveva accontentarsi di seguire il momento della comunione dal suo posto al primo banco della chiesa, finché un giorno… Finché un giorno, il 1 maggio 1333, vigilia della Solennità dell’Ascensione, un pezzetto di Ostia consacrata si staccò dal ciborio che il sacerdote teneva tra le mani per fermarsi così, a mezz’aria, proprio davanti alla piccola Imelda. Di corsa, il sacerdote scese dall’altare per andare a comunicare Imelda che, pochi minuti dopo, con il viso trasformato dalla gioia, morì.
Così termina la breve storia della beata Imelda, una storia dolce come una favola, che però ha un messaggio da affidarci, in questo tempo di digiuni eucaristici. I tredici anni della vita di Imelda sono “consumati” da un desiderio: quello di essere in comunione con Gesù. Un desiderio così alto e così forte da divenire realtà: nel miracolo di una particola librata nell’aria ma ancor prima ed ancor più in una vita vissuta eucaristicamente, nell’attesa, nel silenzio, nella pace e nella gioia. Il desiderio mi plasma e mi cambia, mi fa divenire simile a ciò che desidero. Ma cosa desidero? Quale è la stella che mi manca e a cui aspiro? Per Imelda era Gesù Eucaristia. Per me?

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Alla fine di questa settimana, il giorno 10 maggio, ricorre un anonimo anniversario: quello della nascita al cielo di una giovane consacrata. 55 anni fa moriva a Rivarolo Canavese, nella terra di Madre Antonia, una suora giovanissima, di soli 23 anni. Sr. Crocifissa Maria dei SS. Apostoli, al secolo Iraide Gambi. Una vita breve la sua e non molto ricca di avvenimenti, tuttavia costellata di sofferenze. La sofferenza morale per un padre violento; la sofferenza fisica delle privazioni, delle offerte, dei sacrifici ed infine della malattia.
In un ambiente familiare sicuramente sfavorevole a qualsiasi opzione vocazionale, la piccola Iraide -già ad 11 anni- sceglie da che parte stare. Dalla parte di Gesù. Per questa scelta non teme di mettersi anche “contro” al padre bestemmiatore; anzi, scegliere Gesù per lei è motivo per pensare alla salvezza paterna. Non è scappare dalle difficoltà quanto piuttosto fare un passo in avanti per risolverle.
Iraide ha intuito che Gesù è il tutto e a Lui non si può dare meno di tutto. A Lui ella dona tutta la sua giovane vita, fatta di piccole cose. A lui dona il suo tesoro prezioso, la malattia, che diventa così strumento per continuare a pregare per la salute morale del proprio genitore. Le poche fotografie che la ritraggono, ci restituiscono il ritratto di una giovane esile e sorridente, con due occhi grandi e luminosi.
Questi occhi, più che la sua biografia apparentemente anonima e scarna di grandi eventi, ci danno la chiave di lettura della vita di Iraide, sintetizzabile con una sola parola: Passione. Canta il poeta che gioia e dolore hanno il confine incerto, proprio come la parola passione, che per sua natura è ambivalente. Passione è l’amore e passione è il dolore.

Iraide ha vissuto con Passione, donandosi all’amore ed accogliendo il dolore. Ed io? Per chi o per cosa mi appassiono?

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Oggi la Chiesa fa memoria di S. Caterina da Siena, patrona d’Italia, compatrona d’Europa, vergine e dottore della Chiesa. Una sfilza di “titoli” per una giovane morta a soli 33 anni, che imparò a leggere e a scrivere solo da grande e che soffrì molto nella propria vita, dal punto di vista fisico e non solo. Insomma, una donna grande nella sua semplicità o, meglio, grande per la sua semplicità, cioè grande della Sapienza di Dio, che rivela i suoi segreti ai piccoli e confonde invece i superbi.
Il 20 agosto 2000, a conclusione del Grande Giubileo dei Giovani, a Tor Vergata, Papa Giovanni Paolo II, citò proprio una frase di Santa Caterina da Siena, estendendola non alla sola Italia bensì al mondo intero, per spalancare ai giovani le porte della missione nel Terzo Millennio: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta il mondo».
Nella lettera originale (Lettera n° 368), scritta a Stefano Maconi, Caterina ammoniva il caro discepolo contro la tiepidezza, causata dall’ingratitudine che nasce dal non riconoscere l’Amore di Dio ed i molti benefici da lui ricevuti… E Caterina continua: «se in verità li vedessimo, il cuore nostro arderebbe di fuoco d’amore; e saremmo affamati del tempo, esercitandolo con molta sollicitudine in onore di Dio e salute delle anime».
L’intercessione di Santa Caterina ci faccia fuggire atterriti dalla tiepidezza; ci doni il coraggio di essere quello che dobbiamo essere, di divenire ciò che -davanti a Dio- siamo, per poter diventare “piromani di Dio”. quelli che mettono fuoco, ma fuoco d’amore, d’entusiasmo e di missione, a tutto il mondo.
Accendiamoci!

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