Mt. 12, 46-50

Così è la vita. Quando cresci e i genitori si fanno anziani, a poco a poco diventi tu loro madre, loro padre. Loro tornano bambini. E tu li generi.

Così è la fede. Più cresci nella statura di Cristo, più ti addentri nel Mistero di Dio e Lui, l'Eterno, ti fa partecipare non solo della Sua Giovinezza, ma anche della sua adultità. E tu lo generi. In te. Negli altri.

Mt. 12, 38-42

Gesù, non darci segni che ci costrigano a credere. Non darci segni che ci forzino ad amare.

Tu sei via sicura, porta aperta, luce nel cammino.

Donaci solo occhi per riconoscerti e cuore per vedere il Segno grande del tuo amore crocifisso nei piccoli segni dei nostri giorni che passano.

 

La storia di Marina, una santa molto venerata in Libano ma poco conosciuta al di fuori del Medio Oriente, è davvero molto particolare. Marina nacque in una famiglia cristiana di umili origini, da genitori molto religiosi. Dopo la morte della madre, il padre decise di vivere insieme ai monaci basiliani, nel deserto ed affidò la piccola Marina a dei parenti. La tristezza di entrambi, dovuta alla lontananza, costrinse il padre, su consenso e desiderio della figlia, ad escogitare uno stratagemma per farla ammettere anch’ella in convento; fu così che raccontò all’egumeno (l’abate), che gli chiese motivo della sua malinconia, di avere lasciato un figlio a casa, il quale, tra l’altro, desiderava entrare anch’egli nel monastero. L’Abate, commosso dal racconto di Eugenio, che stimava e teneva in grande considerazione, acconsentì all’ammissione del figlio nel monastero.
Allora, tornato a casa, rasò i lunghi capelli della figlia, la vestì da uomo e le cambiò il nome in Marino, dopodiché si misero tutti e due in cammino verso il monastero. Nel corso del lungo viaggio il padre istruì la giovane quattordicenne nella lettura, le espose i comandamenti e la vita di Gesù, insegnandole tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno per combattere le “insidie del nemico”; come ultima cosa si fece promettere dalla figlia che non avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno la sua vera identità. Vissero così assieme, nella stessa cella, per tre anni, dopodiché Eugenio passò a miglior vita.
La giovane Marina, però, continuò in solitudine la vita monastica osservando meticolosamente i comandamenti e la dottrina impartitagli dal padre, progredendo di giorno in giorno in virtù, attraverso un’intensa attività di preghiera, meditazione e digiuno, diventando ben presto un esempio per tutti i confratelli e per questo fu amato dall’Abate più degli altri.
Ogni mese alcuni monaci, a turno, venivano inviati dall’Abate nei paesi vicini per svolgere affari economici e non di rado capitava che a metà del viaggio, con l’avvicinarsi della notte e sostassero in una locanda per recuperare le forze. Un giorno fu inviato anche fra Marino che, assieme agli altri confratelli, passò la notte, come di consueto, nella solita locanda. Il locandiere aveva una figlia che rimase incinta di un soldato che, casualmente, soggiornò nella locanda lo stesso giorno in cui soggiornarono i monaci. Fu così che la figlia del locandiere, istigata dal demonio, accusò di molestie fra Marino. I genitori della ragazza infuriati si presentarono al convento raccontando l’accaduto all’Abate che, incredulo, considerando la santità di Marino, lo fece chiamare per udire dalla sua bocca se le accuse mosse fossero vere. Inverosimilmente Marino non si discolpò ma, dopo aver pensato a lungo, si mise a piangere pronunciandole seguenti parole: “Padre, peccai, sono apparecchiato alla penitenzia”.
A questo punto l’Abate dopo averlo punito duramente lo cacciò. Marino, dunque, visse per tre anni di stenti nei pressi del monastero, giacendo per terra, piangendo ed affliggendosi per un fatto da lui non commesso, pregando e facendo penitenza con grande umiltà, non raccontando mai a nessuno dell’accaduto. Visse cibandosi di erbe selvatiche e accettando qualche elemosina. Dopo qualche tempo Marino, stanco e colpito al fisico dal continuo e duro lavoro, fu trovato morto nella sua cella, all’età di 25 anni. Fu così che scoprirono che in realtà Marino era una donna e tutti cominciarono a piangere e a battersi il petto per le ingiurie e le afflizioni che gli avevano fatto. Quel giorno il corpo, su ordine dell’egumeno, fu lasciato nell’oratorio per la devozione della gente. I giorni seguenti in molti, dei paesi vicini, accorsero al capezzale della santa che poco dopo fu seppellita all’interno del monastero.
Marina, insegnaci ad essere veri dentro e fedeli alla Verità. L’abito conta nulla; ciò che importa è il cuore ed un cuore fedele a se stesso.

Oggi la Chiesa ricorda una giovane santa, Clelia Barbieri, vissuta nel bolognese, e di cui quest’anno si celebrano i 150 anni dalla morte, avvenuta il 13 luglio 1870, all’età di 23 anni.
23 anni: una manciata di giorni, una vita appena sbocciata, un’esistenza che pare sprecata, perché finita troppo presto. Ma troppo presto rispetto a che? 23 anni sono più o meno 8.400 giorni, 201.600 ore, e più di 12 milioni di minuti… Detto così fa un certo effetto e fa comprendere che non esiste un tempo breve ed un tempo lungo. Esiste solo il tempo vissuto, gustato a pieno e quello no.
Clelia ha vissuto i suoi giorni di ragazza in maniera appassionata, appassionata del Vangelo e dell’annuncio. Desidera ardentemente essere catechista, cioè parlare di Gesù a tutti, trasmettendo quella passione che ardeva nel suo cuore. E lo fa così bene e così “con gusto”, che nonostante la sua istruzione non proprio elevata e la sua età ancora acerba, le persone la cercano e si rivolgono a lei come maestra e come madre.
C’è un’altra bella caratteristica di Clelia: a lei non piace fare le cose da sola ed i suoi doni desidera condividerli con altri. Insieme ad alcune amiche, giovani come lei, iniziano un gruppo di preghiera, vita comune e servizio. Sono una squadra, un team che si riunisce attorno all’Eucaristia ed al Vangelo. Insieme parlano delle cose che contano, delle cose di Dio; insieme si sostengono, si entusiasmano e non si fanno spaventare dalle difficoltà. Insieme, si occupano soprattutto della formazione e dell’educazione di altre ragazze. Insieme. Ecco il segreto! E così, quando Clelia muore, la sua passione continua a vivere nella sua squadra, nelle sue sorelle e nelle sue figlie. Fino ad oggi.
Clelia Barbieri, santa e saggia. 23 anni ben spesi.

Il 10 luglio di ogni anno la piccola chiesa con il campanile romanico che dà su piazza Santa Rufina, nel cuore di Trastevere, si apre ai visitatori. È il giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica delle de giovani donne che in questo luogo vivevano più di 1700 anni fa: Rufina e Seconda.
La storia ha immortalato queste due donne nell’età della prima giovinezza. I dettagli sopravvissuti all’usura del tempo sono pochi ma bastano a darci l’idea della vita di queste due ragazze. Rufina è probabilmente chiamata così a causa della chioma fulva e subito ti puoi immaginare una giovane donna dai lunghi capelli ramati, bellissimi, lasciati sciolti e non ancora nascosti dal velo della donna sposata. Una ragazza che di sicuro sarà stata corteggiata, se ricordiamo che a Roma i capelli biondi o ramati erano sinonimo di fascino, perché quelli dovevano essere anche i colori della chioma delle divinità e che molte matrone ricorrevano alla tintura pur di avere riflessi color oro. Inseparabile da Rufina, c’era Seconda, la sorella minore, la piccola di casa, sempre accanto alla sorella maggiore, cercando di imitarla, condividendo con lei sogni e desideri.
Queste due ragazze erano -come tutte le giovani- innamorate; di più, erano fidanzatissime con due giovani “di buona famiglia”. Con loro stavano probabilmente progettando il futuro, una casa, una famiglia, dei figli, cose così…
In questa storia normale si era inserito Gesù: tutti e quattro i giovani, le due sorelle ed i rispettivi fidanzati, erano infatti cristiani. Come avessero aderito a questo nuovo credo, non lo sappiamo. È però certo che, sin dai primi decenni dell’era cristiana, a Trastevere si era costituita una fervente comunità della “Via”. Nel 38 a.C., nella Taberna meritoria, ospizio per soldati in pensione, che sorgeva dove ora si erige la Basilica di Santa Maria, si era verificato il prodigio della fons olei, che i cristiani poi rileggeranno come una profezia della nascita di Cristo, l’Unto di Dio. L’Apostolo Paolo era vissuto per due anni in una casa a pigione poco lontano dalla via della Lungaretta e qualche isolato più in là c’era la casa di un'altra giovane cristiana, Cecilia.
Rufina e Seconda di certo conoscevano la storia di Cecilia, il suo amore per Valeriano, le loro nozze e poi la persecuzione ed il martirio in odio fidei: del marito prima e poi della sua giovane sposa. Forse la storia di Cecilia aveva dato loro tanta forza quando, dopo anni di pace e tolleranza, gli Imperatori Valeriano e Gallieno avevano a loro volta iniziato una persecuzione, una delle tante che fino alla pace costantiniana si scateneranno nell’Impero e su Roma in modo particolare.
Siamo nel 260 d.C., quando la vita chiede ad ognuno di schierarsi. I due fidanzati abiurano la fede, per poter rimanere fedeli ai loro progetti di vita e felicità domestica. Sarebbe stato sensato e scontato che anche Rufina e Seconda avessero fatto lo stesso: in fondo, si trattava di scegliere una vita felice, senza intoppi; si trattava di incamminarsi per una via normale, quella che, come giovani romane si erano da sempre preparate.
Ma loro no. Rufina rifiuta categoricamente di lasciare la Via e la sorella, Seconda per nascita ma anche lei prima nella scelta, fa lo stesso. Sono giovani ma non sprovvedute; comprendono ciò a cui vanno incontro. Non vogliono lasciare i fidanzati, ma non possono rinunciare all’Amore. E quando sono messe alle strette, allora scelgono. Scelgono Gesù. Andando alla morte.
Rufina e Seconda sono due pazze, esaltate, scriteriate? No. Sono due giovani donne che Gesù lo hanno incontrato davvero. Non come un’idea, un pensiero, un credo fumoso. Neanche come un impegno, un volontariato, una missione. Lo hanno conosciuto come Persona; hanno imparato a dialogare con lui nella chiesa domestica che si riuniva nella loro casa. Hanno ascoltato la Parola; di più, l’hanno gustata e l’hanno trovata Bella per la loro vita. E a tanta Bellezza non hanno voluto rinunciare. Tutto qui.
Rufina e Seconda parlano ancora dalla loro casa, che oggi ospita molte giovani provenienti da tutto il mondo. A loro e a tutte le donne dicono: scegli il Bello. Scegli il Meglio. Scegli di essere felice. Ma felice davvero!

29 giugno, solennità degli Apostoli Pietro e Paolo. Entriamo in questa festa guardandola con occhi di donna e richiamando alla memoria una storia probabilmente leggendaria, ma comunque affascinante. La storia di Petronilla, figlia di Pietro. Petronilla, piccola pietra, pietruzza… Questo nome fa venire in mente le piccole tessere di un mosaico. In sé sono insignificanti ma accostate l’una all’altra danno vita ad opere d’arte di inaudita bellezza. Così è anche della Storia della Chiesa che è fatta sì di grandi personaggi, come le colonne che oggi celebriamo, ma anche di piccole tessere colorate che danno un tocco di Dio al dispiegarsi del cammino dell’uomo sulla terra.
Parlare di Petronilla equivale a fare un cammino a ritroso di 2000 anni per entrare in punta di piedi nella casa del pescatore di Bethsaida che ha lasciato le reti per seguire il Maestro. La piccola Petronilla, figlia di Pietro, impara da sua madre a raccogliere la legna per la cucina, a spazzare il cortiletto e la casa, mentre mattino e sera accompagna la mamma al pozzo per attingere l’acqua. Ogni giorno bisogna macinare l’orzo o il grano per preparare il pane; sua madre le mostra come filare la lana e tessere la stoffa. La sua fanciullezza passa imparando gli impegni quotidiani di una donna: il legno, l’acqua, il pane, il cucinare, il filare e tessere.
Il sabato è giorno di festa, il venerdì sera la mamma accende la lampada a olio, papà Pietro canta la benedizione sulla coppa del vino, e la cena si svolge nell’allegria. Al sabato mattino solo Pietro va alla sinagoga, mentre Petronilla e la mamma recitano le preghiere a casa.
Un evento straordinario dà una svolta particolare alla vita di Petronilla: Simone, colui che ascolta, ascoltando la voce di Gesù lascia casa, moglie, figlia, suocera e segue Colui che lo invita per far di lui un pescatore di uomini. Il Nazareno frequenta la casa di Pietro. Petronilla seduta per terra vicino al focolare con le altre donne della casa ascolta le parole, cerca di captarne il senso profondo e prova a capire e ad entrare nel pensiero di questi uomini, in gran parte come suo padre pescatori e si chiede perché: perché hanno seguito lui, proprio Lui, lasciandosi dietro tutto. Impara con loro, un modo di vivere impregnato di piccoli gesti di amore. Impara come relazionarsi con le persone, la natura, le cose per lasciare una traccia di Lui nel quotidiano. Impara che l’audacia è coraggio nell’affrontare quel che si crede giusto e vero.
Nell’anno 33 il Maestro muore crocifisso, risorge, ascende al cielo e invia lo Spirito Santo. Pietro guida la Chiesa nascente e Petronilla accompagna il padre, prima ad Antiochia e poi a Roma. Petronilla è una ragazza bellissima, ama molto il Signore, è sempre sorridente, affabile ed accogliente. Dopo la morte in croce del padre, Petronilla raduna attorno a sé alcune che adempivano il culto insieme e gratuitamente davano il ricevuto dal Signore gratuitamente: Petronilla era molta nota a Roma per la sua gentilezza di tratto e bontà. Dice la storia che Un nobile romano di nome Flachius avendo sentito parlare di lei, la va a visitare, s’innamora perdutamente di lei e le chiede di essere sua sposa. Lei con saggezza risponde di non essere degna di tanto onore e gli chiede tre giorni per riflettere. Il terzo giorno Petronilla rese l’anima a Dio e fu sepolta nelle catacombe di santa Domitilla.

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