La cronaca delle ultime due settimane ci ha riportato e continua a riportarci uno slogan: #blacklivesmatter#. Partito da una strada di Minneapolis, gridato davanti alla Trump tower, ha valicato l’Oceano, causato la caduta di alcune statue e molte più o meno pacifiche manifestazioni.
#blacklivesmatter#. E mentre lo scrivi ti pare così strano che nel 2020 si debbano ancora fare queste specificazioni cromatiche.
Ma mentre lo ripeti, capisci il significato di quelle tre parole tutteattaccate. #blacklivesmatter#, perché non possiamo permetterci il lusso di privarci di un colore e di tanta ricchezza. Solo un esempio. Un esempio black al femminile, una donna, una scienziata afroamericana venuta a mancare qualche mese fa: in Italia eravamo all’inizio dell’emergenza Covid-19 e forse alla sua dipartita da questo mondo non è stato dato il rilievo meritato, impegnati come eravamo nel conteggio dei contagi.
Anche questa donna, Katherine Coleman Goble Johnson, era un’esperta di conti: non di quelli tristi del Coronavirus, bensì di quelli ben più esaltanti delle traiettorie di volo delle navicelle spaziali. La sua storia -da cui è stato tratto anche un bel film del 2016, insieme a quella di altre scienziate afroamericane- è indissolubilmente legata alle imprese spaziali della Nasa e all’arrivo dell’uomo sulla luna. Nel fare questo, ossia nel mettere in pratica la sua passione per i conti lavorando per lo sviluppo della scienza, Katherine ha dimostrato in maniera inequivocabile la preziosità dell'apporto di persone diverse, per genere, per razza, per cultura, per talenti, per passioni. È la differenza che fa la differenza. Sempre. Quando la accogliamo senza paura, gli orizzonti si aprono, nascono cose nuove, tutti ci arricchiamo.
Che bella la storia di Katherine Johnson, che ha mostrato come le black lives contano. Che ha combattuto nella quotidianità contro pregiudizi di razza e di genere. Che ci insegna come ogni vita appassionata e spesa a seguire una stella, un sogno, un desiderio, incida nella costruzione del mondo.    https://youtu.be/6FeG9jP_omw                                                                                                                                              

"Con la mia zolla arida lottai per avere fiori" scrisse Emily Dickinson. L'immagine che viene alla mente è quella dei fiori delle piante grasse: fiori bellissimi e fragilissimi, che sbocciano con tanta fatica ed altrettanta pazienza. Come la vita della donna di questa settimana, Leonia Martin, sorella maggiore di una Martin ben più famosa. Therese Martin o, per essere più espliciti, Santa Teresa del Bambin Gesù. Di Leonia si parla a tratti anche nell'Autobiografia della Santa carmelitana di Lisieux, sottolineandone la debolezza e la fragilità che avevano fatto scrivere la mamma in una lettera: «E’ coperta di difetti come da un mantello. Non si sa come prenderla». Un'intelligenza non brillante come quella della celebre sorella, un carattere rigido, difficile, ostinato; una fatica nel prendere decisioni e nel rimanervi fedeli. Leonia farà fatica a trovare il suo posto nel mondo, la sua "vocazione".Solo a 36 anni comprenderà finalmente che la sua strada è quella di una vita monastica all'interno della Famiglia della Visitazione, fondata da San Francesco de Sales. E le ci vorrà tutta la vita per modellare le sue fragilità; non rinnegandole ma usandole per creare qualcosa di bello davanti a Dio e agli uomini.

La sua figura, ben delineata in un articolo della dottoressa Ludovica Maria Zanet cui si rimanda (https://rivistavocazioni.chiesacattolica.it/2019/12/10/leonia-martin/) ci parla della santità, ossia della felicità, che nasce dalla vita quotidiana, dalle lotte e dalle fatiche di ogni giorno. Che cresce nutrendosi di cadute ed imperfezioni e che non è cosa altra dalla debolezza. Leonia ci ricorda che tutto ma proprio tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Parafrasando, senza saperlo, il poeta cantautore: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fiori".

 

 

QUESTA SETTIMANA SONO GLI ALUNNI DELLA SCUOLA ELEMENTARE DI ACERRA -ISTITUTO "PALLADINO", CHE CI PRESENTANO IN SEMPLICITA' LA DONNA DELLA SETTIMANA. RINGRAZIAMO LORO, INSIEME ALLA COMUNITA' DI NAMNAGA/ARUSHA (TANZANIA), CHE CI OFFRE UN'IMMAGINE MOLTO BELLA DELLA NOSTRA BEATA.

Madre Antonia per me non è solo una donna che dona, prega ma è una persona molto importante che era molto matura sin da piccola tenendo con sé i bambini che non potevano stare con le madri perché esse lavoravano. Mi piace molto una frase “massime coi poveri” perché significa specialmente donare qualcosa a loro; poi ci sono anche queste 3 parole : Rosario, Crocifisso ed Eucaristia e credo che queste parole significano molto, moltissimo per l’umanità, ma molto spesso noi non le ascoltiamo anzi quasi mai e per questo all’apparenza si sta vincendo il male.
Io non sono molto felice del nostro modo di vivere ma so che insieme uniti possiamo cambiare amando ciò che facciamo. E Madre Antonia ha in mano il Vangelo cioè la Via per la nostra vita e la strada per il nostro futuro. E la sua espressione mi dice aiuto per noi e per il futuro di oggi ma mi descrive anche la sua bontà, dolcezza, e la voglia di fare, di salvare tutti quelli che amano ma non vengono amati.
Madre Antonia mi ricorda Gesù. Il Vangelo e la Bibbia sono il suo marchio. È come se dentro di sé c’è la voce di Gesù che non si spegne mai, onora ogni dettaglio della persona, ha rispetto per i più poveri, con il cuore pieno di amore, è pronta a difendere tutti, anche gli adulti, ma soprattutto i bambini. Ci dice che Dio ha un amore immenso per noi, ci vuole trasmettere la fede in Cristo.
Il viso di Madre Antonia ha un sorriso ma è interna la luce che ha perché Dio l’ha illuminata e lei può raccontare anche dopo la sua morte, la Parola di Dio. Il suo viso è l’espressione di un mondo pieno di Pace e amore.
Negli occhi di Madre Antonia c’è tutto l’egoismo cancellato, la pace, l’amore, la sicurezza e tutta la sua generosità. C’è come una luce che abbraccia e illumina tutti noi. Lei la maestra che aiuta i bambini per portare avanti la loro vita ed ascolta nel loro cuore la loro saggezza. Si vede il suo amore che entra dentro al nostro cuore. Una donna umile, semplice ma speciale, che ha sfidato tutte le persone pur di aiutare gli altri ed ha lottato contro il male ed è pronta a prenderci a braccia aperte.
Guardando Madre Antonia vedo che sorride per aver raggiunto il traguardo che voleva raggiungere, e grazie a lei che noi ora siamo in questa scuola e che le sue sorelle cioè le suore che accolgono tutti questi studenti ed è grazie a lei che ora siamo anche noi qui a imparare a leggere e scrivere che poi noi dall’asilo alla quinta è questo il nostro traguardo che volevamo raggiungere e quando cresceremo ed arrivati alla laurea penseremo a lei per tutto ciò che abbiamo imparato alle elementari.

Da due anni a questa parte, il primo lunedì dopo la Pentecoste la Chiesa celebra la memoria liturgica di Maria Madre della Chiesa. È bello questo tratto materno quando si torna al tempo ordinario, alla dimensione feriale dell’esistenza. Le feste pasquali sono ufficialmente terminate ieri; Gesù è asceso al cielo e la Chiesa ha ricevuto lo Spirito. E adesso? E adesso inizia la vita “vera”, quella fatta di piccoli gesti, di parole semplici, di lavoro, di fatica, di gioie ordinarie. Insomma, inizia la vita normale, quella vita di cui sono esperte le madri. Solo una madre, infatti, sa raccogliere e fare tesoro della vita che scorre, con le sue minuscole vittorie e brevi sconfitte. Perché una madre sa occuparsi senza scomporsi e senza andare in panico dell’ordinario, mettendo insieme lavoro, casa, figli, spesa, turni vari… e ritagliandosi anche del tempo per una visita, per un libro, per coltivare un hobby o per comprare un fiore. E solo una madre sa dare importanza all’una e all’altra persona o all’una e all’altra attività come se fosse l’unica davvero essenziale in quel momento.
Così è stato anche di Maria dopo la Pentecoste.
Gli Apostoli hanno iniziato a fare le valigie e lei lì pronta a controllare che il mantello di Filippo fosse rammendato ed i sandali di Pietro in ordine; a raccomandare a Tommaso di non essere troppo impulsivo e a consigliare a Simone la via migliore per raggiungere l’Egitto, dove lei aveva vissuto tre anni con Giuseppe ed il piccolo Gesù. Sì, è vero che lo Spirito Santo incendia il cuore e spinge a grandi orizzonti, però poi ci vuole una madre che ti aiuti a calare nella vita quotidiana il fuoco della missione, affinché esso non si spenga ma continui ad ardere, come fuoco tranquillo che dona vita e calore. Ecco Maria, ecco la Madre della Chiesa, che rimane con i discepoli per sempre.
La tradizione racconta che la Vergine Madre ha seguito Giovanni fino ad Efeso, e che lì ha vissuto, nel luogo che ancora oggi porta il suo nome: Meryem Ana, la casa della Madre Maria. Una casa -ancora oggi- accoglie il visitatore in un clima di silenzio e di tranquillità, raccontando -a chi le voglia ascoltare- storie di vita ordinaria.
Lontana dal grande anfiteatro di Efeso dove Paolo predicò, dal tempio di Artemide, dalla biblioteca di Celso e dalla via Arcadiana che portava al porto… Lontana dalla citta, abbarbicata su un colle verde e silenzioso, tanto da essere dimenticata per secoli, Meryem Ana ci dà la dimensione più umana della maternità di Maria sulla Chiesa: una maternità fatta di umiltà e purezza, attenta alle sfumature, alle preghiere piccole piccole, ai desideri dei semplici. Una maternità fatta casa per l’Apostolo che tornava stanco dalle sue predicazioni come per il pellegrino che qui arriva con il suo rosario e le sue preghiere.
Santa Maria, Madre della Chiesa, Vergine fatta casa, continua a prenderti cura di noi, nelle nostre piccole cose di ogni giorno.
P.S.: Un ricordo particolare in questa settimana va alle nostre sorelle che vivono in Turchia e che continuano nel silenzio e nell’operosità quotidiana la missione materna di Maria!

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