Mariam nasce a Ibillin in Galilea e già dalla sua nascita la sua è una vita frutto della speranza e dell’affidamento totale. Ella è infatti la tredicesima figlia di mamma Mariam e papà Georges che avevano con dolore perso appena nati i suoi dodici fratelli. Mariam e Georges decisero di fare un pellegrinaggio a Betlemme per rimettersi alla materna protezione di Maria alla quale domandarono una figlia che nacque loro il 5 gennaio 1846.
Tanti sono i fatti della vita della giovane Mariam Bawardi che l’hanno toccata nel profondo, tante le città che ha attraversato e gli apparenti ostacoli ma un desiderio è rimasto costante nel suo cuore: la ricerca di Dio. Nel 1859 Mariam vedrà per la prima volta la Vergine che la curò quando venne ferita gravemente alla gola e, negli anni successivi, ebbero luogo molti altri incontri, estasi e infine le stigmate e la transverberazione del cuore. A 19 anni entra nel noviziato delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione a Marsiglia ma, respinta la sua richiesta di prendere i voti, entrerà poi nel Carmelo di Pau sui Pirenei con il nome di Maria di Gesù Crocifisso. Il “piccolo niente” di Gesù, come lei stessa amava chiamarsi, ha sempre invitato se stessa e gli altri a vivere la virtù dell’umiltà: “La santità non è la preghiera, né le visioni o le rivelazione, né la scienza del ben parlare, né il cilicio, né le penitenze,bensì l’umiltà”. A Lourdes Mariam sentirà chiaramente la chiamata a fondare un Carmelo a Betlemme e l’autorizzazione per realizzarlo le arrivò a firma di Papa Pio IX. Il Carmelo sarà inaugurato il 21 novembre 1876.
Poco meno di due anni dopo, Suor Maria di Gesù Crocifisso morirà alla giovane età di 32 anni.

Grande viaggiatrice , Mariam ha capito ben presto che il più bel viaggio è sulla strada della santità sui passi di Cristo Crocifisso e Risorto con la Vergina Maria.
La sua Fede è grande ma semplice, alla portata di tutti:"cercate Dio solo senza fermarvi a nulla di creato… Dio solo è tutto".
La sua Speranza riposa sulla sua Fede in Gesù e questa speranza sta a tutta prova:"Credete che la gallina se vedesse venire il nemico non nasconderebbe i suoi pulcini sotto le sue ali per difenderli? Credete che Gesù non può fare come la gallina ? Che egli non possa nascondere i piccoli e difenderli dai grandi? Allora perché temete?"
L ‘Amore di Cristo l’abita costantemente e la fa sovrabbondare di carità per le sue sorelle. Mariam  fa eco al Cantico dei Cantici : "Chi ha consolato il mio cuore ? Sei tu mio Ben Amato. Chi ha rinfrescato il mio cuore ? Sei tu Amore mio".

Il messaggio  di Mariam è un messaggio di speranza e d’amore, un messaggio d’incoraggiamento alla santità attraverso la via dell’umiltà, della semplicità; ella ci insegna che l’ultima parola non è mai la sofferenza, non è mai l’abbandono, non è la croce bensì la gloria, la resurrezione e la luce. Il Calvario non è l’ultima parola ma la porta verso una vita migliore.

Sfogliando le cronache della nostra presenza in Libia, ci si accorge della grandezza e della bellezza della consacrazione a Cristo vivendo lo stile gratuito di Madre Antonia. Le nostre sorelle sono state delle vere testimoni della grande carità. di Cristo pagando nel 1969 con l’espulsione dalla quarta sponda, la loro fedeltà alla Parola incarnata nelle parole e nella vita.
Suor Ancilla è stata una di queste ‘piccole lampade’ accese a Bengasi. Appena professa nel 1922 è ivi inviata come educatrice nella scuola della Missione Cattolica. Insegnare, educare per una figlia di Madre Antonia significa lasciare un segno nella vita dei prediletti dell’Unico Maestro Gesù.
Dal 1922 al 1942, la maestra Suor Ancilla ha lavorato con impegno nella scuola: aveva sempre il sorriso sulle labbra, era molto calma aiutava tutti i bambini specialmente i più bisognosi di aiuto; aveva uno sguardo speciale per ogni piccolo e per ogni persona. Stava con e per la gente e il poco tempo libero lo passava davanti al Santissimo per implorare grazie per tutti specialmente i piccoli, i poveri e le piccole ragazzine ex-schiave riscattate dai Missionari. Una maestra che sapeva sacrificarsi e consigliare con tanta delicatezza e amore.
Nel 1942 quando la scuola fu chiusa a causa della guerra, Suor Ancilla ritornò a malincuore in Italia con l’ultima nave militare che partiva da Bengasi. Nel 1953, però, fece ritorno in Libia come superiora della comunità e nel 1960 come prima delegata eletta per le tre comunità della Libia alle quali fu aggiunta la comunità nascente di Itiso, in Tanzania. Le cronache parlano dell’amatissima madre guida comprensiva in ogni contingenza della vita e mamma amorosa: «La madre delegata ha il suo occhio e il suo cuore materno per le tre comunità da essa dipendenti, nonché con la lontana Itiso, ove giunge con la frequente corrispondenza e materiali soccorso.»

La sua parola forte e soave rimaneva impressa nel cuore delle sue figlie perche improntata ad un sentimento di profonda umiltà. Esortava a fare guerra spietata all’egoismo, e alle critiche che tanto contrastano la regina delle virtù la Carità. Invitava e incitava ad una conoscenza più profonda della vita di Madre Antonia, sperando che tale conoscenza portava pure alla pratica dell’altra virtù propria della nostra Congregazione: la semplicità.

Ancora oggi nel 2020 le suore che hanno conosciuto sr Ancilla ricordano la sua opera squisitamente materna; vera anima missionaria e già solerte educatrice per tanti anni in questa terra libica, essa sapeva farsi tutta a tutti dimentica di se e della sua precaria salute, sempre sollecita del bene spirituale e temporale di ogni singola persona e di tutte le sorelle.

 (continuazione dell'articolo pubblicato nella rubrica Spazio giovani - SCIC n. 3/giugno 2020)

TESTIMONIO 2 - “Tiempo y manos para servir y un remanso para rezar. Una puerta por descubrir, un camino que transitar”

¿Como expresar todo lo vivido en palabras? Como un video que se reproduce, pasa por mi mente nuestra misión sin ganas de que termine. Un año más que participo. Desde aquella vez que dejé que la curiosidad por conocer a quien nos Ama y se entregó por nosotros, habitara en mí, sé que la misión es lo que alegra mi vida. Este año iniciamos en un pueblo llamado Ojo de Agua en la Provincia de Córdoba, ¿Qué pasó al principio? Aún con miedo, y sintiendo si realmente somos los correctos para esto, la incertidumbre por saber, lo desconocido, por ver cómo nos iban a recibir, pero con el corazón lleno de amor y cariño para brindar, emprendimos una vez más nuestra misión. Nos encontramos con una comunidad muy cálida, amable y predispuesta, con personas que han dejado en mi corazón su nombre, abriéndonos las puertas de sus casas para compartir un mate con un perfecto desconocido, que sin embargo lleva como bandera el Amor de Dios, un hermano en Cristo.

Este año la misión la viví más profundamente, con momentos de angustia y otros de alegría. Cada momento compartido con las familias cuando salíamos a caminar o cuando estábamos en la escuelita que nos prestaron, dejó una marca en mí, esos rostros que al cerrar los ojos se me vienen a la mente, las miradas que dicen mucho más que las palabras y que a veces suelen no ser necesarias. Tan solo con tener alguien que los escuche y comparta un momento de silencio, son felices. El dolor y el abandono que podía percibir en sus ojos también me entristece. Es que siendo Hijo de Dios es que uno ama de verdad y no puede comprender como a veces se hace la vista gorda dejando familiares en el campo, sin poder movilizarse como el caso de Doña Dora.

También compartimos risas, con personas que trasmiten mucha alegría, y que a veces suelen hablar mucho como un señor llamado Pedro al cual visitamos con el grupo de Las Tranqueras, contándonos la historia de la casa de su padre, una construcción con aproximadamente 200 años de antigüedad, y enseñándonos como es su trabajo con sus animales, un hombre ya grande y solo, sin hijos al cual por las veces que fuimos a verlo llegamos a estimarlo y al despedirnos pude notar en sus ojos una mirada de tristeza porque él dice "La gente buena siempre se va" y es que él se encariñó mucho con nosotros.
Y así , sigo dándome cuenta de que la misión es muy importante en mi vida, muchas veces no comprenden porque siendo tan chicos decidimos ir 10 días a un lugar donde no tenemos comodidades, donde hace mucho calor... pero no comprenden que El (Jesús) nos regala cada despertar, que Él está donde menos lo pensamos y nos acompaña en cada paso. ¿Si Él me ha regalado tantas cosas como yo no voy a poder ponerme al servicio para brindar todo el amor que me ha regalado y compartirlo con los demás?


                                                                                  Jaqueline Torres Tinoco- 22 años /Buenos Aires

 

TESTIMONIO 3 – HUELLAS

Mi camino verniano comenzó hace muchos años; desde pequeña que concurro al colegio “Antonia María Verna” en Santa Fe, Argentina. Allí transcurrió toda mi niñez y adolescencia, hasta que llegó el tiempo de cerrar una etapa, para ir más allá y volar…

En este colegio me tocó vivir millones de experiencias y vivencias que han hecho de mí una mejor persona. Es por este motivo, que en el año 2018, cuando terminé los estudios secundarios, aumentaban mis deseos por seguir formando parte y transmitir el carisma verniano a los demás. Así fue como me uní al grupo misionero; en el cual aprendí muchas cosas sobre lo que es ser un apóstol simple y eficaz al comunicar con la mirada las verdades de la fe.

Después de un año de haber participado de los encuentros anuales del grupo, llegó mi momento de misionar. Sabía que el destino era Ojo de Agua – Córdoba, pero no imaginaba lo que me iba a encontrar y las enseñanzas que me iba a llevar de ese lugar.

Mi año nuevo empezó lleno de felicidad, ansiedad e incertidumbre, ya que el 02-01-2020 viajé rumbo a Córdoba para comenzar la misión.

Al llegar, conocí gente maravillosa que supo transmitirme el verdadero carisma verniano, el darse al otro con plena generosidad, entrega y disponibilidad.

Nosotros, los misioneros, llevamos preparadas diversas actividades para ofrecerle a la comunidad y compartir junto a ellos. Cada mañana llenábamos nuestras botellas con agua fría y salíamos al encuentro de los vecinos; para conocernos y dialogar con ellos mientras compartíamos mates y tortas.

Cuando se hacía la hora del medio día retomábamos el camino hacia la escuela primaria de Ojo de Agua (lugar que fue prestado para que pudiéramos hospedarnos) y almorzábamos para después tener un tiempo de descanso. Luego, merendábamos y empezábamos a realizar todos los preparativos necesarios para los talleres que venían a continuación; por ejemplo, talleres de música, de baile, de artesanías y/o actividades como ser bingos, procesión con una imagen de la Virgen del lugar, Celebración de la Palabra, Misa con el Obispo de la prelatura de Deán Funes, proyección de películas, entre otras muchas cosas.

Pero en este artículo, no solo quiero hacer referencia a las actividades que fueron pensadas para hacer en conjunto con los vecinos del lugar; sino también al trabajo espiritual continuo de los misioneros, tanto personal como grupal, mediante oraciones, cantos, dinámicas, juegos y diferentes actividades destinadas a la unión del mismo; y más precisamente, al crecimiento espiritual.

El lema de la misión fue “Vengo a ofrecer mi corazón”; y eso fue lo que sucedió. Todos los que estuvimos allí presentes –misioneros- comenzamos a trabajar en el corazón del otro a través de la empatía; para así poder comprender a quien tengo enfrente e iniciar un camino de transformación junto a Jesús y mamá María.

A continuación, cito una frase que escuché de la Hermana Lucrecia “en nuestros corazones quedan grabados los rostros y las miradas de los demás”; y coincido totalmente con ella, si hay algo que destaco y me llevo guardado en el corazón, es la simpleza, humildad, vitalidad y amor que me transmitieron durante diez días todos los rostros que conocí. Cada familia que nos abría las puertas de su casa nos dejaba una enseñanza para crecer y aplicar en nuestras vidas; por ejemplo, Dora, Iris, Pedro, los Márquez, Luisiana, Olga, entre muchos otros…

Es por todo lo que viví que estoy convencida de que recibí el llamado de Jesús para seguirlo, para vivir libre, para amar y servir, para dejar en cada paso una huella, para encontrar en los demás un poco de Dios. Este año le dije SÍ a la misión como heredera de la caridad de Madre Antonia al emprender con valor el camino de gratuidad el cual tiene confines infinitos. Y con mucha alegría quiero compartirles que mi camino aún no termina; sino que recién comienza y debe continuar…

 Milagros, Acevedo 19 años

Comunidad de Santa Fe - Argentina

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Santa Lidia, una donna che ha duemila anni e non vuole invecchiare.
Lidia nasce a Tiatira, un piccolo centro dell’odierna Turchia, molto attivo e vivace dal punto di vista commerciale. Anche Lidia è una venditrice, e non da poco. Gli Atti degli Apostoli ci dicono infatti il suo mestiere: commerciante di porpora, che nell’antichità era la stoffa dei re e degli straricchi. Insomma, Lidia era un’imprenditrice del tessile, una donna in carriera che forse proprio per i suoi affari si era spostata a Filippi, in Macedonia; dove incontra Paolo di Tarso.
Paolo era arrivato a Filippi in seguito ad un sogno e forse non sapeva bene neanche lui cosa fare in quel continente europeo per lui tutto nuovo, in cui mai avrebbe pensato di arrivare. A Filippi neppure c’era una sinagoga e quindi Paolo ed i suoi, un po' ad intuito, decidono di andare in riva al fiume: là qualcuno ci dovrà pur essere, se non per pregare, almeno per lavare i vestiti o fare la scorta di acqua. E infatti, in riva al fiume, Paolo trova un gruppetto di donne, riunite; che bella questa immagine di donne che fanno gruppo, che si incontrano, che si trovano insieme per parlare, lavorare, pregare! E che fanno subito spazio a Paolo e ai suoi, perché si siedano, perché parlino con loro, perché raccontino la loro storia.
Piano piano, dal gruppo delle donne riunite emerge lei, Lidia. Emerge dal silenzio. Emerge nel silenzio. Gli Atti dicono che “Lidia stava ad ascoltare” e che “il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo”. La donna in carriera si fa discepola, torna tra i banchi di scuola ed apre mente e cuore a quello strano e nuovo messaggio che un uomo dal brutto aspetto ma dalla parola incantevole le stava porgendo. Paolo parla di un uomo, un uomo come nessun altro, un uomo fatto Amore, un Dio fatto carne. Lidia si fa più attenta, pondera quelle parole che sanno di novità; lei il mondo degli uomini lo conosce bene. Con loro doveva competere ogni giorno e solo lei conosceva le fatiche e anche le umiliazioni affrontate per raggiungere la sua posizione. L’uomo di cui parlava Paolo, però, era diverso: era morto in croce per tutti; aveva sparso il suo sangue, rosso come la porpora che lei commerciava. Era un uomo mai visto: buono e potente, forte e misericordioso. Era Dio; morto e risorto, il Primo e l’Ultimo; il Vivente. Anche adesso, mentre Paolo parlava, quell’Uomo era lì. Vivo.
Lidia è attenta, riflette, medita, pondera. E decide. Decide con quella stessa prontezza che aveva negli affari; decide perché capisce che quella è l’affare della sua vita, il “colpo grosso”: prendere o lasciare. E Lidia prende. Prende tutto. Prende subito. Ma, con finezza tutta femminile, non prende tutto per sé: condivide. Il tesoro trovato al fiume, lo condivide con la sua famiglia. E se finora aveva ascoltato, adesso parla: comunica la Bella Notizia ai suoi e li convince ad accogliere il messaggio portato da Paolo; e poi convince, anzi costringe i missionari ad accettare di essere ospitati nella sua casa.
Ecco, questa è Lidia, prima cristiana un poco Maria ed un poco Marta; ascoltatrice attenta, generosa ed ospitale. Di poche parole, ma di quelle giuste. Non ci è dato di sapere cosa abbia fatto dopo quel sabato memorabile. Avrà continuato con i suoi affari, probabilmente; ma oltre la porpora, avrà iniziato a promuovere e pubblicizzare la Bellezza della Parola. Quella Parola che le aveva aperto il cuore, che le aveva detto come tutto il suo trafficare e faticare avesse un senso. E che il miglior investimento della sua vita lo aveva fatto fermandosi ad ascoltare quel giudeo mingherlino che parlava benissimo il greco.

(continuazione dell'articolo pubblicato nella rubrica Magistero - SCIC n. 3/giugno 2020)

Papa Francesco, con sano realismo e nel contempo con estrema delicatezza, esprime la propria consapevolezza che l’esperienza di paternità vissuta da molti giovani è stata talora carente o inadeguata, talaltra quasi assente o peggio negativa, ma queste ferite interiori ed esistenziali possono essere prima lenite e poi curate solo gettandosi in tutta sicurezza nella braccia del Padre divino, la cui Parola è ricchissima di espressioni del Suo amore infinito che “non è mai triste; ma pura gioia che si rinnova quando ci lasciamo amare da Lui....”

Il Santo Padre ricorda ad ogni giovane che “Per Lui tu sei realmente persona, non sei insignificante, sei importante per Lui, perché sei opera delle Sue mani”, ma per poter fare esperienza di tale divina tenerezza “cerca di rimanere un momento in silenzio lasciandoti amare da Lui. Cerca di mettere a tacere tutte le voci e le grida interne e rimani un momento nel suo abbraccio d’amore”.

Il Santo Padre, evocando la necessità del silenzio, poiché le “cose grandi avvengono nel silenzio” (Romano Guardini, Il Signore), ci offre una lezione preziosissima per vincere il rumore del mondo e per pregare in modo autentico, quasi riproponendo il pensiero del Card. R. Robert Sarah: “la preghiera è riuscire a tacere, ad ascoltare Dio ed imparare a sentire i gemiti ineffabili dello Spirito Santo che abita in noi e silenziosamente grida. Gli uomini di oggi pensano che la preghiera consista nel dire delle cose a Dio, nel gridare e nell’agitarsi davanti a Lui, mentre la preghiera è molto più semplice. Consiste nell’ascoltare Dio che silenziosamente parla in noi” (La Forza del silenzio).

La lettura del paragrafo 117 (...Non gli dà fastidio che Tu gli esprima i tuoi dubbi, quello che lo preoccupa è che non gli parli, che tu non ti apra con sincerità al dialogo con Lui....Il suo amore è così reale, così vero, così concreto che ci offre una relazione piena di dialogo sincero e fecondo.....) richiama alla memoria la bellissima preghiera “Amami come sei”, parole incoraggianti di Gesù all’anima, che del tutto a ragione viene utilizzato quale testo di supporto per l’Adorazione Eucaristica.

  • “La seconda verità è che Cristo, per amore ha dato se stesso fino alla fine per salvarti” ...Trattasi di un amore infinito e incrollabile, potentemente e drammaticamente celebrato il 27 Marzo in occasione del momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia.

“Quel Cristo che ci ha salvato sulla Croce dai nostri peccati, con lo stesso potere del suo totale dono di sé continua a salvarci e redimerci oggi. Guarda la Sua Croce, aggrappati a Lui, lasciati salvare, perché coloro che si lasciano salvare da Lui, sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”.

In queste bellissime e toccanti parole riecheggia l’immensa maestosità della verità centrale della nostra fede, la solennità antica del tradizionale inno “Vexilla Regis”, la lucida nitidezza del Magistero di Papa Benedetto XVI: “...Guardiamo a Cristo trafitto in Croce! È Lui la rivelazione più sconvolgente dell’Amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che ci mendica l’amore della Sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi.... Solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti.... la risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui. Accettare il Suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo mi attira a sé per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore...Guardiamo con fiducia al costato trafitto di Gesù da cui sgorgarono sangue ed acqua ...si dischiude a noi l’intimità dell’Amore Trinitario” (Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2007).

Papa Francesco ulteriormente scolpisce ed affina questa grande verità fondativa della nostra fede ricordandoci ancora che “Noi siamo salvati da Gesù perché ci ama e non può farne a meno...perché solo quello che ci ama può essere salvato. Solo quello che ci abbraccia può essere trasformato...e Lui ci abbraccia sempre, sempre, sempre...Egli ci perdona e ci libera gratuitamente. Giovani amati dal Signore, quanto valete voi se siete stati redenti dal sangue prezioso di Cristo. Cari giovani voi non avete prezzo...Voi non avete prezzo: dovete sempre ripetervelo: non sono all’asta, non ho prezzo, sono libero, sono libero! Innamoratevi di questa libertà che offre Gesù... guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente”.

  • La terza verità, inseparabilmente connessa a quelle precedenti, è che “Egli vive”. Il rischio al quale siamo esposti, nonché l’inganno diffuso da una certa cultura sostanzialmente anticristiana, è quello di considerare Gesù solo come un buon esempio del passato, come un ricordo”. Invece colui che hic et nunc ci ama senza misura alcuna è il Cristo risorto, “pieno di vitalità soprannaturale, rivestito di luce infinita”, e “se egli vive, allora davvero potrà essere presente nella tua vita in ogni momento, per riempirla di luce”. Gesù. Infatti, non solo “ha la vita”, ma “è la vita”: Io sono la resurrezione e la vita” (Gv. 11, 1-45).

La consolante ed entusiasmante conseguenza di questa verità è che “così non ci saranno mai più solitudine e abbandono...Egli riempie tutto con la Sua presenza invisibile, e dovunque tu vada ti starà aspettando”. Perché non solo è venuto, ma viene e continuerà a venire ogni giorno per invitarti a camminare verso un orizzonte sempre nuovo”. In queste parole di Papa Francesco è possibile cogliere l’eco della stupenda e mirabile sintesi del piano della creazione e della salvezza offertaci dal discorso di San Paolo all’Aeropago: “...in Dio viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17, 22-34).

Posti al cospetto di una realtà tanto elettrizzante, infervorante ed estatica non resta che contemplare “Gesù felice e traboccante di gioia...il tuo Amico che ha trionfato ed eterno vivente”. “Aggrappati a Lui, vivremo ed attraverseremo indenni tutte le forme di morte e di violenza che si nascondono lungo il cammino...con il cuore radicato in una sicurezza di fondo che permane al di là di tutto”.

Questa prospettiva, alla luce della quale dovrà essere modellata la vita cristiana esige però da parte nostra un’adesione accorata in pensieri ed opere, sul piano esperienziale nella concretezza della nostra vita terrena: “perché all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas Est).

Poiché “l’Amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5), nelle precedenti tre verità – Dio Ti ama, Cristo è il Tuo salvatore, Egli vive – comparendo Dio Padre e comparendo Gesù c’è anche lo Spirito Santo che “prepara e apre i cuori perché accolgano questo annuncio”.

Papa Francesco, pertanto, conclude invitando i giovani ad invocare “ogni giorno lo Spirito Santo perché rinnovi costantemente l’esperienza del grande annuncio. Non perdi nulla ed Egli può cambiare la Tua vita, può illuminarla e darle una rotta migliore”.

Papa Francesco rivela di ben conoscere quali corde far vibrare per poter conquistare o catturare il cuore dei giovani, ai quali annuncia che il bisogno di amore, la ricerca dell’intensità e della passione, può ricevere una risposta piena ed appagante solo dopo l’incontro con Dio, solo dall’innamoramento di Lui “in una maniera definitiva ed assoluta....e questo amore di Dio, che prende con passione tutta la vita, è possibile grazie allo Spirito Santo”.

Infine, la chiosa del capitolo ha un’impronta doppiamente e genuinamente verniana. In primo luogo perché la sottolineatura che lo Spirito Santo sia “la sorgente della migliore gioventù” richiama alla mente che la Beata Madre Antonia “fosse fino dai suoi più teneri anni una bambina sommamente giudiziosa” (P. Adamo Pierrotti O.F.M.) e “compiva appena il quindicesimo anno dell’età sua, quando dopo assennati, e maturi consigli, davanti alla Regina del cielo, offriva spontaneamente a Dio l’anima, e il corpo suo olocausto di virginal purezza” (F: Vallosio). Secondariamente ed ancor di più perché Papa Francesco, per avvalorare l’insegnamento secondo il quale coloro che ripongono la loro fiducia nel Signore “riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (Is 40,31), ricorda che chi confida nel Signore “è come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi (Ger. 17,8), così evocando l’immagine e le parole spientamente incastonate ed inscritte nel coronato stemma delle amate Figlie della Fondatrice.

Vincenzo Fornace

La vita di Marta è tutta lì, nel suo nome che deriva dalla lingua aramaica e significa “Signora della casa”. Signora di una casa che non ha segreti per lei, perché la abita e la rende unica, con i profumi dei fiori e delle erbe aromatiche, gli odori delle salse e dell’agnello che cuoce a fuoco lento, il mattarello che lavora veloce il pane arabo e la creatività nel preparare la tavola e la destrezza nell’aggiungere posti per gli ospiti di passaggio.


Marta è la tipica donna medio orientale, cioè ospitale per natura, cultura e tradizione, perché sa che chi siede al tuo tavolo non è invitato ma padrone; questo il significato dell’espressione araba di benvenuto: ‘Ahlan Wasahlan’ … che è come dire… la mia casa è la tua e condivideremo tutto.
Ecco, questa è Marta: una che condivide tutto con Gesù, che lo riconosce come suo Padrone: padrone della sua casa, signore della sua vita. La sua fede grande, che dimostrerà ampiamente il giorno della morte improvvisa del fratello, nasce in cucina, nasce con l’ospitalità intessuta nel quotidiano, nasce con il servizio umile. La fede delle piccole cose diventa fiducia nell’ora della prova.


Dio onnipotente ed eterno, il cui tuo Figlio fu accolto come ospite a Betania nella casa di santa Marta, concedi anche a noi di esser pronti a servire Gesù nei fratelli, perché al termine della vita siamo accolti nella tua dimora.

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