30 maggio. La Chiesa ricorda Santa Giovanna d’ Arco, una ragazza di 18 anni la cui esistenza .se non fosse storicamente documentata- parrebbe una favola senza il lieto fine.
La storia di Giovanna si snoda dal 1412 al 1431, una manciata di anni all’ interno della guerra anglo-francese dei Cento Anni e dello Scisma d’Occidente. In un periodo difficile come quello, Giovanna non possiede nulla che possa metterla in luce: è donna, è adolescente, è vergine (una pulzella, come poi la si chiamerà), è povera, è analfabeta. Eppure, guidata dalle voci di San Michele Arcangelo e delle due martiri santa Margherita di Antiochia e santa Caterina d’Alessandria, Giovanna si mise alla testa di un’armata e a liberare dall’occupazione inglese la città di Orleans e di Reims, dove il Delfino di Francia Carlo VII venne incoronato re nella cattedrale.
Tradita da quegli stessi che aveva aiutato, la pulzella d’Orleans fu ceduta agli inglesi, processata ed arsa viva come eretica il 30 maggio 1431; le sue ceneri vennero sparse nella Senna, affinché la sua memoria venisse cancellata per sempre. Invece, non solo Giovanna venne riabilitata dalla Chiesa che poi la proclamerà santa, ma la sua vicenda sarà fonte di ispirazione per artisti, poeti, letterati e santi.
Il suo segreto? L’aver ascoltato… le voci giuste! In un mondo parolaio come il nostro, siamo quotidianamente subissati di voci. Voci spesso chiassose e litigiose, che incitano all’odio, che lanciano proclami incattiviti e notizie false. Voci che parlano male, che male-dicono, che distruggono… Voci che non danno speranza, voci cupe. Oppure voci frivole, voci, pettegole, voci superficiali, che non approfondiscono, che non cercano la verità, voci che non intelligenti, ossia che non sanno intus-legere, leggere nel profondo.
Voci che ci ammaliano. Ci confondono. Ci ingannano.
Giovanna no. Giovanna ha ascoltato le voci giuste. Quelle che le hanno parlato dal profondo del cuore. Quelle che le hanno raccontato “le cose di Dio”. Voci belle, voci pulite, voci che invitavano a grandi sogni e grandi imprese. Voci argentine e musicali, voci piene di speranza e di coraggio. Giovanna è rimasta fedele alle “Voci” anche quando la strada si è fatta dura e spinosa, anche quando non ha più visto nulla, anche quando voci cattive e maligne l’hanno chiamata eretica e traditrice, l’hanno insultata per i suoi capelli corti ed i vestiti da uomo, hanno cercato di farla inciampare su definizioni teologiche. Ma Giovanna no, non è caduta; allenata all’ascolto, aveva imparato a parlare ed il suo dire, fino alla fine, è stato “sì sì e no no”. Chiaro, limpido, vero.
Perché “la bocca parla della pienezza del cuore”.
Buona settimana, ascoltando le voci giuste! https://www.youtube.com/watch?v=M6-9WZQMT2I

Scusate il titolo irriverente, ma l’occasione è di quelle da non perdere.
Oggi la Parola di Dio ci fa contemplare la figura di una donna in carriera, Lidia, che gli Atti degli Apostoli presentano come “commerciante di porpora”. Lidia ha una sua attività, sicuramente ben avviata e sicuramente redditizia, tanto da essere menzionata anche da san Luca e, soprattutto tanto da consentirle da ospitare Paolo ed i suoi senza alcun problema… tutto a sue spese! In questa settimana in cui in Italia riaprono le attività commerciali, Lidia ci dà speranza. La speranza che tutto davvero potrà andare bene, mantenendo aperto l’orecchio all’ascolto, il cuore alla riflessione, la porta di casa all’accoglienza…
Paolo incontra Lidia, insieme ad altre donne, al fiume, dove i missionari si erano recati pensando che là avrebbero trovato gente riunita per pregare. Mi piace pensare che le donne fossero lì anche per un motivo più pratico, quello di lavare i panni e osservo un dettaglio: il cesto in cui Lidia aveva raccolto la biancheria da lavare e che rimane lì, quasi dimenticato, perché quello che conta adesso è la Parola.
Poi c’è Emilia. Emilia Kaczorowska, la mamma di Karol Wojtyla, di cui oggi ricorrono 100 anni dalla nascita. Emilia, cagionevole di salute, dolce, sorridente. Anche lei una donna attiva, una sarta che amava la moda, che non disdegnava di andare fino a Cracovia per comprare dei vestiti ad Edmund, il primogenito. San Giovanni Paolo II conserverà per tutta la vita un cesto di vimini appartenuto alla madre, il cesto in cui Emilia raccoglieva la biancheria, quei vestiti cuciti dalle sue mani o comprati in qualche negozio cittadino. Questa cesta dice di una vita ordinaria, in cui lo straordinario entra in punta di piedi… Come nella vita di Emilia che, con un sorriso ha saputo mettere a rischio la sua vita e ha donato al mondo Karol junior, San Giovanni Paolo II. Così, semplicemente.
Infine Rita. Rita da cascia, la cui memoria liturgica cade il prossimo 22 Maggio e che “è donna della pace, del perdono… un grande esempio di tolleranza, di altruismo, di pazienza… di accoglienza e di amore.” Anche qui c’è una cesta, una cesta di vimini in cui però stavolta non è riposta la biancheria ma una bambina. Rita, appunto. Si racconta che dopo qualche mese dalla nascita, i genitori presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in una cesta di vimini. Un giorno, mentre la piccola riposava all’ombra di un albero e i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api bianche le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella bocca della piccola depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito ad una mano, lasciò il lavoro per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scosse e braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Tre donne, tre ceste. Una santità, la loro, che ha curato il dettaglio, perché attenta alle piccole cose quotidiane. Una santità sminuzzata nell’ordinarietà della vita, nell’accoglienza e nella riconciliazione quotidiana… Buona settimana!

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