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Mercoledì, 26 Agosto 2020 06:53

R-ESTATE A CASA!

R-estate a casa! E' stato un pò il "motto" del tempo di lockdown.... Ma è anche lo slogan che ci parla dell'esperienza delle nostre juniores, nella #casa e nei luoghi santi di Madre Antonia. R-esate a casa, ossia un'estate a casa, con gli affetti più cari, con la Madre che, anche dopo 200 anni, continua ad insegnare come amare e servire tutti, massime coi poveri, a gratis.

Anche quest’anno noi giovani SCIC (Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea) abbiamo vissuto il tanto atteso appuntamento estivo: dal 18 Luglio all’8 Agosto si è svolto il periodo intensivo di formazione.
Il gruppo era composto da 8 juniores (sr Janeth, sr Irene, sr Gentrix, sr Moureen, sr Alice, sr Maya, sr Rochio e sr Genesis) provenienti da Italia, Messico, Tanzania e Libano. Purtroppo sr Rawan da Gerusalemme quest’anno non ha potuto viaggiare, ma certamente fa parte del gruppo. Con noi c’erano anche le due postulanti che a breve inizieranno il noviziato: Pietra Rosa e Ania. A guidarci le nostre formatrici responsabili: Madre Raffaella e sr Palma.
Una bella squadra!
Ognuna è partita da casa sua, cioè dalla propria comunità, per incontrarsi tutte ad Andrate (TO), dove - per partire col piede giusto - abbiamo vissuto una settimana di esercizi spirituali tenuti da don Domenico Scibetta, formatore guanelliano: il tema era “Rimanere nella Parola per fare nostra la sfida della santità”. Sono stati giorni intensi di vero incontro con lo Sposo. Silenzio, preghiera e natura: un’intesa vincente per ricaricare il corpo e lo spirito. Delle giovani innamorate che godono dell’Amore che le ha chiamate….
Ma sul Tabor non si rimane! Bisogna scendere! Dopo gli esercizi inizia un’altra tappa della nostra formazione…ci spostiamo a Rivarolo (TO), la vera e propria terra della nostra fondatrice Madre Antonia. Qui incontriamo tante altre sorelle che accolgono con gioia il gruppo delle giovani.
Le giornate passano in fretta tra incontri, condivisioni, preghiera, momenti di gioco e qualche passeggiata…
La visita ai luoghi significativi per la storia della nostra Famiglia Religiosa - ad esempio il Tempio di Ivrea dove è custodito il quadro della Madonna dei Miracoli oppure Pasquaro dove si trova la stanza natale di Madre Antonia - hanno risvegliato in noi il fuoco della missione iniziato qualche secolo fa dalle prime suore…una missione che è portare nel mondo l’amore gratuito di Dio a immagine di Maria Immacolata! Noi giovani abbiamo capito che è ancora possibile! Vogliamo continuare su questa strada! Vogliamo continuare insieme questa storia….
È chiaro che questi giorni sono stati una sorgente di ricchezza da cui poter attingere durante l’anno che verrà…abbiamo fatto una bella scorta!
Questa esperienza estiva di formazione è stata proprio un bel pellegrinaggio tra le vie del mondo e quelle del proprio cuore, tra le storie delle persone incontrate e le loro vite così diverse… e soprattutto è stata un’occasione per stare insieme e conoscerci meglio.
Per questo il nostro GRAZIE sale a Dio con tutto il cuore!
Ad oggi, ognuna è tornata al proprio posto: sparse in diverse parti del mondo ciascuna vive il proprio apostolato ma tutte siamo abitate da quello spirito di squadra che ci tiene unite anche se distanti. In Gesù, Maria e Madre Antonia siamo ri-scese in campo per continuare a vivere la partita della vita…
Alla prossima!

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L’altro ieri, 22 agosto, è stato l’overshoot day, ossia il giorno in cui si esauriscono le risorse annuali della terra. In altre parole: da ieri fino al 31 dicembre saremo in debito con Madre Terra.
Non è che ci si possa sdebitare così facilmente, ma forse è bene in questa settimana, fare memoria di una donna speciale, che ha fatto della sua vita un inno all’ecologia integrale. Amando la terra. Amando i poveri, e insegnando i poveri ad amare la terra.
Il suo nome? Wangari Muta Maathai, di nazionalità kenyota, prima donna africana a vincere il Nobel per la pace, nel 2004.
Wangari, di etnia kikuyu, nasce all’ombra del Mount Kenya, in una nazione ancora sotto la colonizzazione degli inglesi. Il fratello convince la mamma a mandarla a scuola insieme a lui; a scuola si fa notare per la sua intelligenza tanto che i missionari di Nyeri la aiutano a continuare gli studi nell’unica scuola privata femminile, a Limuru, dalle suore di Loreto. Ci penseranno le suore, poi, ad aiutarla ad andare all’Università, niente meno che negli Stati Uniti.
Wangari studia biologia e poi torna nel suo paese e continua a studiare e insegna e capisce che il dono che le è stato fatto può e deve andare a beneficio di tutta la sua gente. E, professoressa all’ Università di Nairobi, dedica parte del suo tempo a… piantare alberi! Piantare alberi per combattere la desertificazione, curare la terra per aiutare i poveri. Wangari riunisce attorno a sé altra gente, donne soprattutto e fonda il cosiddetto Green Belt Movement, allo scopo di creare una cintura verde che fasci l’Africa di speranza.
Ma Wangari sa che tutto è profondamente interconnesso e che non basta piantare alberi. Occorre anche sdradicare pregiudizi e dare nuova speranza ai poveri. E così Wangari e le sue compagne iniziano ad impegnarsi in politica, contro le discriminazioni, per essere voce di chi non ha voce. E, dopo il Nobel, sarà eletta ministro dell’ambiente in Kenya, il suo paese.
Wangari oggi non c’è più, a causa di un cancro che se l’è portata via troppo presto. Ma Wangari c’è ancora, piccolo seme piantato nella fertile terra d’Africa e che continua a dare buoni frutti, continuando a testimoniare l’importanza di curare con amore la nostra casa comune. Insieme a tutti quelli che la abitano.

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Mariam nasce a Ibillin in Galilea e già dalla sua nascita la sua è una vita frutto della speranza e dell’affidamento totale. Ella è infatti la tredicesima figlia di mamma Mariam e papà Georges che avevano con dolore perso appena nati i suoi dodici fratelli. Mariam e Georges decisero di fare un pellegrinaggio a Betlemme per rimettersi alla materna protezione di Maria alla quale domandarono una figlia che nacque loro il 5 gennaio 1846.
Tanti sono i fatti della vita della giovane Mariam Bawardi che l’hanno toccata nel profondo, tante le città che ha attraversato e gli apparenti ostacoli ma un desiderio è rimasto costante nel suo cuore: la ricerca di Dio. Nel 1859 Mariam vedrà per la prima volta la Vergine che la curò quando venne ferita gravemente alla gola e, negli anni successivi, ebbero luogo molti altri incontri, estasi e infine le stigmate e la transverberazione del cuore. A 19 anni entra nel noviziato delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione a Marsiglia ma, respinta la sua richiesta di prendere i voti, entrerà poi nel Carmelo di Pau sui Pirenei con il nome di Maria di Gesù Crocifisso. Il “piccolo niente” di Gesù, come lei stessa amava chiamarsi, ha sempre invitato se stessa e gli altri a vivere la virtù dell’umiltà: “La santità non è la preghiera, né le visioni o le rivelazione, né la scienza del ben parlare, né il cilicio, né le penitenze,bensì l’umiltà”. A Lourdes Mariam sentirà chiaramente la chiamata a fondare un Carmelo a Betlemme e l’autorizzazione per realizzarlo le arrivò a firma di Papa Pio IX. Il Carmelo sarà inaugurato il 21 novembre 1876.
Poco meno di due anni dopo, Suor Maria di Gesù Crocifisso morirà alla giovane età di 32 anni.

Grande viaggiatrice , Mariam ha capito ben presto che il più bel viaggio è sulla strada della santità sui passi di Cristo Crocifisso e Risorto con la Vergina Maria.
La sua Fede è grande ma semplice, alla portata di tutti:"cercate Dio solo senza fermarvi a nulla di creato… Dio solo è tutto".
La sua Speranza riposa sulla sua Fede in Gesù e questa speranza sta a tutta prova:"Credete che la gallina se vedesse venire il nemico non nasconderebbe i suoi pulcini sotto le sue ali per difenderli? Credete che Gesù non può fare come la gallina ? Che egli non possa nascondere i piccoli e difenderli dai grandi? Allora perché temete?"
L ‘Amore di Cristo l’abita costantemente e la fa sovrabbondare di carità per le sue sorelle. Mariam  fa eco al Cantico dei Cantici : "Chi ha consolato il mio cuore ? Sei tu mio Ben Amato. Chi ha rinfrescato il mio cuore ? Sei tu Amore mio".

Il messaggio  di Mariam è un messaggio di speranza e d’amore, un messaggio d’incoraggiamento alla santità attraverso la via dell’umiltà, della semplicità; ella ci insegna che l’ultima parola non è mai la sofferenza, non è mai l’abbandono, non è la croce bensì la gloria, la resurrezione e la luce. Il Calvario non è l’ultima parola ma la porta verso una vita migliore.

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Domenica, 26 Luglio 2020 08:54

Perle e tesori

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.  (Matteo 13, 44-46)

Il Vangelo di oggi dice che cosa è davvero il cristianesimo. Non una religione, una dottrina, una morale. Non una filosofia, un pensiero, un’idea. Non un catechismo, delle regole, dei divieti, dei comandi e comandamenti. No.

È un’avventura, un cercare ed un trovare ma anche un essere trovati senza aver cercato, nel bel mezzo del quotidiano. È una sorpresa, una gioia che ti nasce nel cuore, nel bel mezzo della fatica, fuoco che dà vita ai tuoi giorni.

È rischiare, è vendere tutto, è riiniziare daccapo, è mettersi in gioco, è fare pazzie, è vedere l’invisibile. E lasciare. E partire.

Questo è il Regno dei Cieli, tesoro nascosto e perla preziosa, piccolo seme che ti nasce nel cuore, briciola di lievito che produrrà pani profumati. È vedere con gli occhi del cuore che Qualcuno da sempre mi vede, mi ama, mi accoglie così come sono e si prende cura di me. Che per me ha fatto pazzie e continuerà a farne. Che non chiede nulla in cambio se non che io sia felice. Amando. Che io sia felice sin da ora, nelle fatiche del quotidiano, nel dolore, anche nella morte. Perché Lui è ovunque e a tutto dà senso, un senso adesso, un senso subito, un senso nascosto nelle pieghe degli eventi.

La più grande menzogna del pensiero occidentale è stata quella di farci credere che il cristianesimo fosse l’oppio dei popoli, una droga per non pensare, un tranquillante per illudere, un palliativo per rimanere fermi. Quando invece è proprio il contrario, perché il tesoro trovato ti spinge all’azione, alla compravendita, ti fa correre, ti mette in moto, ti riempie di gioia. Non perché da adesso in poi vivrai in discesa, senza pensieri, divertendoti (il divertissment, lo diceva già il Filosofo quattro secoli fa, quello è il vero oppio dei popoli), bensì perché anche nel dolore più cupo saprai trovare un senso, un valore, una cosa bella. Sì, Bella.

Bella come quando Francesco baciò il lebbroso e l’amaro divenne dolce. O come quando Iňigo de Loyola lesse il Vangelo ed il dolore divenne gioia. O come quando Edith divorò in una notte l’autobiografia di Teresa e la verità ricercata nella fenomenologia divenne Verità incarnata nella storia degli uomini. O come quando Vincenzo entrò nel tugurio ed il desiderio di una vita facile divenne il sogno di una vita felice. O come quando Lorenzo fu mandato a Barbiana e l’esilio divenne esperienza di liberazione per sé e per gli altri. O come quando Andrea partì per la Turchia e la solitudine di Trabzon divenne pienezza dello Spirito. O come quando Chiara si ammalò di tumore ed il giogo del Signore divenne dolcezza infinita. O come quando io, da oggi, ancora una volta e spero per sempre mi rimetto a scavare in cerca di tesori o corro per vendere la perla preziosa troppo a lungo trattenuta nel pugno della mano.

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La vita di Marta è tutta lì, nel suo nome che deriva dalla lingua aramaica e significa “Signora della casa”. Signora di una casa che non ha segreti per lei, perché la abita e la rende unica, con i profumi dei fiori e delle erbe aromatiche, gli odori delle salse e dell’agnello che cuoce a fuoco lento, il mattarello che lavora veloce il pane arabo e la creatività nel preparare la tavola e la destrezza nell’aggiungere posti per gli ospiti di passaggio.


Marta è la tipica donna medio orientale, cioè ospitale per natura, cultura e tradizione, perché sa che chi siede al tuo tavolo non è invitato ma padrone; questo il significato dell’espressione araba di benvenuto: ‘Ahlan Wasahlan’ … che è come dire… la mia casa è la tua e condivideremo tutto.
Ecco, questa è Marta: una che condivide tutto con Gesù, che lo riconosce come suo Padrone: padrone della sua casa, signore della sua vita. La sua fede grande, che dimostrerà ampiamente il giorno della morte improvvisa del fratello, nasce in cucina, nasce con l’ospitalità intessuta nel quotidiano, nasce con il servizio umile. La fede delle piccole cose diventa fiducia nell’ora della prova.


Dio onnipotente ed eterno, il cui tuo Figlio fu accolto come ospite a Betania nella casa di santa Marta, concedi anche a noi di esser pronti a servire Gesù nei fratelli, perché al termine della vita siamo accolti nella tua dimora.

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Oggi la Chiesa celebra la memoria di Santa Lidia, una donna che ha duemila anni e non vuole invecchiare.
Lidia nasce a Tiatira, un piccolo centro dell’odierna Turchia, molto attivo e vivace dal punto di vista commerciale. Anche Lidia è una venditrice, e non da poco. Gli Atti degli Apostoli ci dicono infatti il suo mestiere: commerciante di porpora, che nell’antichità era la stoffa dei re e degli straricchi. Insomma, Lidia era un’imprenditrice del tessile, una donna in carriera che forse proprio per i suoi affari si era spostata a Filippi, in Macedonia; dove incontra Paolo di Tarso.
Paolo era arrivato a Filippi in seguito ad un sogno e forse non sapeva bene neanche lui cosa fare in quel continente europeo per lui tutto nuovo, in cui mai avrebbe pensato di arrivare. A Filippi neppure c’era una sinagoga e quindi Paolo ed i suoi, un po' ad intuito, decidono di andare in riva al fiume: là qualcuno ci dovrà pur essere, se non per pregare, almeno per lavare i vestiti o fare la scorta di acqua. E infatti, in riva al fiume, Paolo trova un gruppetto di donne, riunite; che bella questa immagine di donne che fanno gruppo, che si incontrano, che si trovano insieme per parlare, lavorare, pregare! E che fanno subito spazio a Paolo e ai suoi, perché si siedano, perché parlino con loro, perché raccontino la loro storia.
Piano piano, dal gruppo delle donne riunite emerge lei, Lidia. Emerge dal silenzio. Emerge nel silenzio. Gli Atti dicono che “Lidia stava ad ascoltare” e che “il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo”. La donna in carriera si fa discepola, torna tra i banchi di scuola ed apre mente e cuore a quello strano e nuovo messaggio che un uomo dal brutto aspetto ma dalla parola incantevole le stava porgendo. Paolo parla di un uomo, un uomo come nessun altro, un uomo fatto Amore, un Dio fatto carne. Lidia si fa più attenta, pondera quelle parole che sanno di novità; lei il mondo degli uomini lo conosce bene. Con loro doveva competere ogni giorno e solo lei conosceva le fatiche e anche le umiliazioni affrontate per raggiungere la sua posizione. L’uomo di cui parlava Paolo, però, era diverso: era morto in croce per tutti; aveva sparso il suo sangue, rosso come la porpora che lei commerciava. Era un uomo mai visto: buono e potente, forte e misericordioso. Era Dio; morto e risorto, il Primo e l’Ultimo; il Vivente. Anche adesso, mentre Paolo parlava, quell’Uomo era lì. Vivo.
Lidia è attenta, riflette, medita, pondera. E decide. Decide con quella stessa prontezza che aveva negli affari; decide perché capisce che quella è l’affare della sua vita, il “colpo grosso”: prendere o lasciare. E Lidia prende. Prende tutto. Prende subito. Ma, con finezza tutta femminile, non prende tutto per sé: condivide. Il tesoro trovato al fiume, lo condivide con la sua famiglia. E se finora aveva ascoltato, adesso parla: comunica la Bella Notizia ai suoi e li convince ad accogliere il messaggio portato da Paolo; e poi convince, anzi costringe i missionari ad accettare di essere ospitati nella sua casa.
Ecco, questa è Lidia, prima cristiana un poco Maria ed un poco Marta; ascoltatrice attenta, generosa ed ospitale. Di poche parole, ma di quelle giuste. Non ci è dato di sapere cosa abbia fatto dopo quel sabato memorabile. Avrà continuato con i suoi affari, probabilmente; ma oltre la porpora, avrà iniziato a promuovere e pubblicizzare la Bellezza della Parola. Quella Parola che le aveva aperto il cuore, che le aveva detto come tutto il suo trafficare e faticare avesse un senso. E che il miglior investimento della sua vita lo aveva fatto fermandosi ad ascoltare quel giudeo mingherlino che parlava benissimo il greco.

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Martedì, 21 Luglio 2020 10:29

Chi cerca trova!

22 luglio. Festa di S. Maria Maddalena. Cantico dei Cantici 2

Chi ama, cerca... Chi cerca, piange... Chi piange, vede... Chi vede, trova...

Trova, perchè è visto. E' visto, perchè per lui o lei Qualcuno ha pianto ed ha sofferto. Qualcuno ha pianto e sofferto per lui o lei perchè da sempre lo cerca. E se lo cerca, lo ama. Perchè? Perchè L'Amore ama, cerca, piange, vede trova e ti trova!

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La storia di Marina, una santa molto venerata in Libano ma poco conosciuta al di fuori del Medio Oriente, è davvero molto particolare. Marina nacque in una famiglia cristiana di umili origini, da genitori molto religiosi. Dopo la morte della madre, il padre decise di vivere insieme ai monaci basiliani, nel deserto ed affidò la piccola Marina a dei parenti. La tristezza di entrambi, dovuta alla lontananza, costrinse il padre, su consenso e desiderio della figlia, ad escogitare uno stratagemma per farla ammettere anch’ella in convento; fu così che raccontò all’egumeno (l’abate), che gli chiese motivo della sua malinconia, di avere lasciato un figlio a casa, il quale, tra l’altro, desiderava entrare anch’egli nel monastero. L’Abate, commosso dal racconto di Eugenio, che stimava e teneva in grande considerazione, acconsentì all’ammissione del figlio nel monastero.
Allora, tornato a casa, rasò i lunghi capelli della figlia, la vestì da uomo e le cambiò il nome in Marino, dopodiché si misero tutti e due in cammino verso il monastero. Nel corso del lungo viaggio il padre istruì la giovane quattordicenne nella lettura, le espose i comandamenti e la vita di Gesù, insegnandole tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno per combattere le “insidie del nemico”; come ultima cosa si fece promettere dalla figlia che non avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno la sua vera identità. Vissero così assieme, nella stessa cella, per tre anni, dopodiché Eugenio passò a miglior vita.
La giovane Marina, però, continuò in solitudine la vita monastica osservando meticolosamente i comandamenti e la dottrina impartitagli dal padre, progredendo di giorno in giorno in virtù, attraverso un’intensa attività di preghiera, meditazione e digiuno, diventando ben presto un esempio per tutti i confratelli e per questo fu amato dall’Abate più degli altri.
Ogni mese alcuni monaci, a turno, venivano inviati dall’Abate nei paesi vicini per svolgere affari economici e non di rado capitava che a metà del viaggio, con l’avvicinarsi della notte e sostassero in una locanda per recuperare le forze. Un giorno fu inviato anche fra Marino che, assieme agli altri confratelli, passò la notte, come di consueto, nella solita locanda. Il locandiere aveva una figlia che rimase incinta di un soldato che, casualmente, soggiornò nella locanda lo stesso giorno in cui soggiornarono i monaci. Fu così che la figlia del locandiere, istigata dal demonio, accusò di molestie fra Marino. I genitori della ragazza infuriati si presentarono al convento raccontando l’accaduto all’Abate che, incredulo, considerando la santità di Marino, lo fece chiamare per udire dalla sua bocca se le accuse mosse fossero vere. Inverosimilmente Marino non si discolpò ma, dopo aver pensato a lungo, si mise a piangere pronunciandole seguenti parole: “Padre, peccai, sono apparecchiato alla penitenzia”.
A questo punto l’Abate dopo averlo punito duramente lo cacciò. Marino, dunque, visse per tre anni di stenti nei pressi del monastero, giacendo per terra, piangendo ed affliggendosi per un fatto da lui non commesso, pregando e facendo penitenza con grande umiltà, non raccontando mai a nessuno dell’accaduto. Visse cibandosi di erbe selvatiche e accettando qualche elemosina. Dopo qualche tempo Marino, stanco e colpito al fisico dal continuo e duro lavoro, fu trovato morto nella sua cella, all’età di 25 anni. Fu così che scoprirono che in realtà Marino era una donna e tutti cominciarono a piangere e a battersi il petto per le ingiurie e le afflizioni che gli avevano fatto. Quel giorno il corpo, su ordine dell’egumeno, fu lasciato nell’oratorio per la devozione della gente. I giorni seguenti in molti, dei paesi vicini, accorsero al capezzale della santa che poco dopo fu seppellita all’interno del monastero.
Marina, insegnaci ad essere veri dentro e fedeli alla Verità. L’abito conta nulla; ciò che importa è il cuore ed un cuore fedele a se stesso.

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Oggi la Chiesa ricorda una giovane santa, Clelia Barbieri, vissuta nel bolognese, e di cui quest’anno si celebrano i 150 anni dalla morte, avvenuta il 13 luglio 1870, all’età di 23 anni.
23 anni: una manciata di giorni, una vita appena sbocciata, un’esistenza che pare sprecata, perché finita troppo presto. Ma troppo presto rispetto a che? 23 anni sono più o meno 8.400 giorni, 201.600 ore, e più di 12 milioni di minuti… Detto così fa un certo effetto e fa comprendere che non esiste un tempo breve ed un tempo lungo. Esiste solo il tempo vissuto, gustato a pieno e quello no.
Clelia ha vissuto i suoi giorni di ragazza in maniera appassionata, appassionata del Vangelo e dell’annuncio. Desidera ardentemente essere catechista, cioè parlare di Gesù a tutti, trasmettendo quella passione che ardeva nel suo cuore. E lo fa così bene e così “con gusto”, che nonostante la sua istruzione non proprio elevata e la sua età ancora acerba, le persone la cercano e si rivolgono a lei come maestra e come madre.
C’è un’altra bella caratteristica di Clelia: a lei non piace fare le cose da sola ed i suoi doni desidera condividerli con altri. Insieme ad alcune amiche, giovani come lei, iniziano un gruppo di preghiera, vita comune e servizio. Sono una squadra, un team che si riunisce attorno all’Eucaristia ed al Vangelo. Insieme parlano delle cose che contano, delle cose di Dio; insieme si sostengono, si entusiasmano e non si fanno spaventare dalle difficoltà. Insieme, si occupano soprattutto della formazione e dell’educazione di altre ragazze. Insieme. Ecco il segreto! E così, quando Clelia muore, la sua passione continua a vivere nella sua squadra, nelle sue sorelle e nelle sue figlie. Fino ad oggi.
Clelia Barbieri, santa e saggia. 23 anni ben spesi.

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Il 10 luglio di ogni anno la piccola chiesa con il campanile romanico che dà su piazza Santa Rufina, nel cuore di Trastevere, si apre ai visitatori. È il giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica delle de giovani donne che in questo luogo vivevano più di 1700 anni fa: Rufina e Seconda.
La storia ha immortalato queste due donne nell’età della prima giovinezza. I dettagli sopravvissuti all’usura del tempo sono pochi ma bastano a darci l’idea della vita di queste due ragazze. Rufina è probabilmente chiamata così a causa della chioma fulva e subito ti puoi immaginare una giovane donna dai lunghi capelli ramati, bellissimi, lasciati sciolti e non ancora nascosti dal velo della donna sposata. Una ragazza che di sicuro sarà stata corteggiata, se ricordiamo che a Roma i capelli biondi o ramati erano sinonimo di fascino, perché quelli dovevano essere anche i colori della chioma delle divinità e che molte matrone ricorrevano alla tintura pur di avere riflessi color oro. Inseparabile da Rufina, c’era Seconda, la sorella minore, la piccola di casa, sempre accanto alla sorella maggiore, cercando di imitarla, condividendo con lei sogni e desideri.
Queste due ragazze erano -come tutte le giovani- innamorate; di più, erano fidanzatissime con due giovani “di buona famiglia”. Con loro stavano probabilmente progettando il futuro, una casa, una famiglia, dei figli, cose così…
In questa storia normale si era inserito Gesù: tutti e quattro i giovani, le due sorelle ed i rispettivi fidanzati, erano infatti cristiani. Come avessero aderito a questo nuovo credo, non lo sappiamo. È però certo che, sin dai primi decenni dell’era cristiana, a Trastevere si era costituita una fervente comunità della “Via”. Nel 38 a.C., nella Taberna meritoria, ospizio per soldati in pensione, che sorgeva dove ora si erige la Basilica di Santa Maria, si era verificato il prodigio della fons olei, che i cristiani poi rileggeranno come una profezia della nascita di Cristo, l’Unto di Dio. L’Apostolo Paolo era vissuto per due anni in una casa a pigione poco lontano dalla via della Lungaretta e qualche isolato più in là c’era la casa di un'altra giovane cristiana, Cecilia.
Rufina e Seconda di certo conoscevano la storia di Cecilia, il suo amore per Valeriano, le loro nozze e poi la persecuzione ed il martirio in odio fidei: del marito prima e poi della sua giovane sposa. Forse la storia di Cecilia aveva dato loro tanta forza quando, dopo anni di pace e tolleranza, gli Imperatori Valeriano e Gallieno avevano a loro volta iniziato una persecuzione, una delle tante che fino alla pace costantiniana si scateneranno nell’Impero e su Roma in modo particolare.
Siamo nel 260 d.C., quando la vita chiede ad ognuno di schierarsi. I due fidanzati abiurano la fede, per poter rimanere fedeli ai loro progetti di vita e felicità domestica. Sarebbe stato sensato e scontato che anche Rufina e Seconda avessero fatto lo stesso: in fondo, si trattava di scegliere una vita felice, senza intoppi; si trattava di incamminarsi per una via normale, quella che, come giovani romane si erano da sempre preparate.
Ma loro no. Rufina rifiuta categoricamente di lasciare la Via e la sorella, Seconda per nascita ma anche lei prima nella scelta, fa lo stesso. Sono giovani ma non sprovvedute; comprendono ciò a cui vanno incontro. Non vogliono lasciare i fidanzati, ma non possono rinunciare all’Amore. E quando sono messe alle strette, allora scelgono. Scelgono Gesù. Andando alla morte.
Rufina e Seconda sono due pazze, esaltate, scriteriate? No. Sono due giovani donne che Gesù lo hanno incontrato davvero. Non come un’idea, un pensiero, un credo fumoso. Neanche come un impegno, un volontariato, una missione. Lo hanno conosciuto come Persona; hanno imparato a dialogare con lui nella chiesa domestica che si riuniva nella loro casa. Hanno ascoltato la Parola; di più, l’hanno gustata e l’hanno trovata Bella per la loro vita. E a tanta Bellezza non hanno voluto rinunciare. Tutto qui.
Rufina e Seconda parlano ancora dalla loro casa, che oggi ospita molte giovani provenienti da tutto il mondo. A loro e a tutte le donne dicono: scegli il Bello. Scegli il Meglio. Scegli di essere felice. Ma felice davvero!

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